Contributor: Giacomo Rizzolatti MD,
Professor of Human Physiology
Socio Nazionale Accademia dei Lincei
Foreign Member of the Royal Society
Foreign Member of the National Academy of Sciences, USA

L’esperienza della pandemia prima e i conflitti socio-politici poi, hanno innescato un ritorno dirompente dell’attenzione verso la necessità di costruire intorno a sé relazioni positive, sia nel contesto della vita privata, sia nei contesti professionali e organizzativi.

Si tratta di una vera e propria “ri-scoperta”, perché ri-parte dagli elementi costitutivi della comunicazione e li applica in modo nuovo allo scenario modificato.

Ecco quindi che in un qualsiasi contesto relazionale che si mostri come impoverito o maladattivo, comunicare in modo consapevole non può che richiederci di rivalutare quei meccanismi che ci permettono di ripristinare e rinvigorire i nostri scambi interpersonali per ottenerne un beneficio reciproco, in termini di benessere personale e di efficacia operativa.

La comunicazione è un processo di scambio di informazioni attraverso un sistema condiviso, un codice che permette a chi trasmette e a chi riceve di avere un’unica lettura del messaggio.

Questo codice si manifesta attraverso l’osservazione delle azioni degli altri, che possono rientrare in quello che definiamo “comportamento verbale” espresso attraverso le parole, ma anche, e soprattutto, in un “comportamento non verbale”, mediato dal corpo che veicola messaggi attraverso la postura, la posizione nello spazio, la gestualità o la mimica.

Pensiamo ad esempio di poter solamente osservare un collega che lascia una riunione di lavoro. Immaginiamo di osservare il collega che con una postura rigida e con lo sguardo fisso e corrugato esce dalla stanza con passi ampi e decisi, tenendo stretta in una mano una cartella e sbattendo la porta dietro di sé. Con grande probabilità e senza sforzi cognitivi, il suo corpo e i suoi movimenti sono sufficienti ad informarci che il collega, contrariato, sta abbandonando la riunione perché qualcosa lì dentro è andato storto. Riusciamo immediatamente a comprendere cosa sta facendo ed inferire l’intenzione dietro al comportamento.

A questo punto, è importante chiedersi cosa succede al nostro cervello quando comunichiamo.
Come abbiamo potuto “comprendere” tutto questo solo da una semplice osservazione?

Cervelli che si specchiano e che comunicano

Lo comprendiamo perché quando comunichiamo, attiviamo un meccanismo detto di rispecchiamento insito nel nostro cervello, che ci consente una piena comprensione delle azioni sociali. Tale meccanismo, però, funziona bene solo quando chi osserva l’azione già possiede le rappresentazioni motorie corrispondenti.

Cervelli che si specchiano e che comunicano

Alla base di questo meccanismo troviamo i neuroni specchio, una famiglia di neuroni con particolari funzionalità visuo-motorie per la prima volta scoperti in un’area della corteccia motoria dei primati. Durante test interattivi con un gruppo di macachi, è stato osservato che questi neuroni si attivavano sia quando la scimmia eseguiva una particolare azione, ad esempio afferrava un oggetto, sia quando osservava un altro individuo, umano o conspecifico, svolgere la stessa azione.

Si è quindi concluso che la funzione primaria di questi neuroni è quella del riconoscimento e della comprensione del significato degli “eventi motori” altrui, che diventa possibile grazie appunto alla comunione dell’esperienza nostra e altrui.

In altri termini, il meccanismo specchio ci rende capaci di capire le azioni degli altri perché in qualche misura è come se le stessimo facendo noi stessi. Ma non solo, si è successivamente osservato come questi neuroni siano presenti anche in altre importanti aree cerebrali, maggiormente coinvolte nella regolazione emotiva. Questo testimonia come quello dei neuroni specchio sia in realtà un meccanismo globale responsabile della comprensione dell’altro e quindi di quell’abilità di entrare in empatia con lui.

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Giacomo Rizzolatti si è laureato in Medicina e specializzato in Neurologia a Padova. É diventato Professore in Fisiologia Umana nel 1975. Professore Emerito, responsabile Unità di Neuroscienze del CNR di Parma. Membro dell’Accademia dei Lincei, Academia Europaea, Académie Francaise des Sciences, American Academy of Arts and Sciences e National Academy of Science, Royal Society e Istituto Lombardo.

Ha ricevuto il premio “Feltrinelli” per la Medicina il premio “Grawemyer 2007” per la Psicologia, il Premio Principe delle Asturie, e il Brain Prize for Neuroscience. Ha ricevuto Lauree ad Honorem dall’Università “Claude Bernard” di Lione, San Pietroburgo, Lovanio, Sassari, San Martin di Buenos Aires e Montevideo.