Contributor: Roberto Marchesini
Filosofo post-umanista
Etologo
Zooantropologo
Il coinvolgimento, nello sport come nel lavoro, fa parte integrante di quell’iniziativa di alleanza che sola può consentire una piena collaborazione nei confronti del motivatore.
Il coinvolgimento opera insieme al convincimento – l’esplicitazione di obiettivi, valori e strategie da condividere – ma intercetta la persona anche sul piano della compartecipazione affettiva e del sentirsi pienamente parte di una squadra operativa. Convincimento e coinvolgimento sono cioè le due leve che, sinergicamente, consentono di ottenere la partecipazione attiva dei collaboratori e dei fruitori di un servizio. L’uno agisce sulla razionalità del ricevente, mentre l’altro interviene sulla sintonizzazione emozionale e motivazionale della persona. In genere, l’ingaggio viene svolto unicamente sul piano del convincimento, rendendo chiare le strategie e comunicandole ai collaboratori, mostrando eventuali benefici che si possono ottenere attraverso la concertazione, appoggiandosi su valori che possano richiamare un’adesione che è al tempo stesso senso di appartenenza.
Le strategie di convincimento e il self-ownership
Le strategie di convincimento sono molto utili e per questo hanno visto un ampio sviluppo applicativo negli ultimi decenni, anche attraverso tecniche mirate di comunicazione. Non ho, perciò, alcuna intenzione di sminuirne il valore, ma solo di metterne in luce la parzialità. Si può essere convinti della bontà di un’intrapresa – accettare la tattica di un allenatore, comprendere l’importanza dello studio, avere consapevolezza della necessità di una vita sana, sentirsi impegnati nelle strategie di un’impresa – ma darne un’adesione esclusivamente formale, cioè non partecipata. Se abbiamo compreso che le ragioni del cuore talvolta contraddicono quelle della ragione e che le prime in genere abbiano il sopravvento sulle seconde, allora diventa chiaro che il convincimento non è in grado di compensare un deficit di coinvolgimento. In altre parole, possiamo concordare sull’utilità di studiare o di impegnarci in una certa attività, per poi seguire altre priorità o comunque senza dedicare tutta la nostra attenzione a quel compito.
Tra le caratteristiche più importanti della soggettività vi è, infatti, la cosiddetta self-ownership, vale a dire il sentirsi titolare della propria esistenza, che il più delle volte si manifesta sotto forma di resistenza al richiamo proposto da un interlocutore. L’appello al dovere morale può avere una qualche utilità, ma si radica a patto di un convincimento molto alto, per esempio la condivisione di valori di un’azienda, poiché ha una base deontologica, e risente altresì del gradiente d’impegno proprio del soggetto. Non basta riconoscere l’importanza della conoscenza e il dovere morale dell’impegno scolastico per suscitare nei giovani la voglia di studiare. In tale aspetto, come in altri, si è data troppa importanza al potere della ragione nella definizione delle scelte che, viceversa, si appoggiano sempre anche su una base di adesione affettiva.
I fattori del coinvolgimento
Dobbiamo, allora, chiederci quali siano i fattori che attivano il volano del coinvolgimento.
Rileviamo come in talune attività l’ingaggio sia facilmente ottenibile attraverso un’adesione che si sviluppa su tutti i piani della personalità dell’individuo. Ne citerò due: il piano emozionale e quello motivazionale. Il coinvolgimento è sempre un sentirsi portati emozionalmente in una certa direzione, il sentire cioè che quello che si sta facendo è coerente con il proprio vissuto personale. Quando ciò accade, la fatica non è mai uno sforzo: in questi casi, cioè, non si deve lottare, oltre che con la difficoltà dell’impegno, anche con la resistenza interna. Il coinvolgimento emozionale è radicamento e continuità, non c’è distonia tra i diversi momenti del vissuto.
Per costruire coerenza emozionale vanno modificati i termini stessi dell’attività e dell’ingaggio, facendo sì che si venga a creare una sorta di unità d’intenti. Tanto nell’attività quanto nell’ingaggio è perciò necessario individuare e consentire un certo spazio di creatività all’individuo, altrimenti si sentirà parte passiva del progetto e proverà emozioni negative che lo allontaneranno. Per favorire il coinvolgimento emozionale è indispensabile che il motivatore abbia capacità di trasmettere fascinazione sull’attività. Sappiamo, infatti, che qualunque compito può essere trasmesso in modo più o meno coinvolgente: tutto dipende da chi ce lo propone e da come lo fa.
Questo è un aspetto che sempre viene rimarcato come strategico, ma che non è esente da rischi, riconducibili a un transfert troppo forte che lega l’attività al motivatore, perimetrandola in modo esclusivo a quel tipo di relazione. In realtà, è molto più produttivo l’ingaggio empatico, perchè fa sì che il motivatore intercetti le coordinate prospettiche della persona e la aiuti a trovare le migliori condizioni proprio-riferite. L’altro aspetto riguarda l’ingaggio motivazionale che fa riferimento alle motivazioni intrinseche dell’essere umano, come: il piacere di esplorare, di prendersi cura, di collaborare con gli altri membri del gruppo, di competere con un ente esterno, di raccogliere i dati all’interno di un campo di ricerca, di imitare dei riferimenti accreditati.
Si tratta di attività che fanno parte della natura umana e che quindi incentivano il desiderare della persona, la sua proattività e la tensione a raggiungere risultati gratificanti. Le motivazioni intrinseche appartengono alla sfera affettiva proprio come le emozioni e sono individuabili come predicati verbali (raccogliere, accudire, imitare, collaborare, competere), atti che presentano un’appetenza implicita e non hanno bisogno di ulteriori incentivi per la loro attivazione. Solo declinando l’attività secondo uno o più di questi predicati, il motivatore può realizzare il c.d. ingaggio motivazionale. Pensiamo, ad esempio, alla maggiore efficacia dell’apprendimento attraverso il gioco.
Che sia gioco o altra declinazione, è ampiamente dimostrato che solo mettendo insieme ragione e sentimento si potrà ottenere una vera partecipazione a una qualsiasi attività, sia essa un progetto o un percorso di cambiamento.
Prof. Roberto Marchesini
Filosofo
Etologo
Zooantropologo
Direttore della Scuola di Interazione Uomo-Animale (SIUA)
Direttore del Centro Studi Filosofia Post-Umanista

Filosofo post-umanista, etologo e zooantropologo, è autore di oltre un centinaio di pubblicazioni nel campo della bioetica animale, delle scienze cognitive, della filosofia post-umanista e delle intelligenze artificiali. Tiene, inoltre, conferenze internazionali nelle quali affronta il tema del rapporto uomo-animale. È direttore di Animal Studies. Rivista italiana di zooantropologia.