Contributor: Elena Pattini, PhD – Psicologa, VP Comitato Scientifico Kindacom

Il bisogno di relazionalità dell’essere umano lo spinge alla condivisione. E’ così da sempre.  Siamo esseri sociali e molte scoperte scientifiche lo dimostrano, basti pensare ai neuroni specchio come substrato fisiologico del comportamento empatico, oppure alla rete di connessioni cerebrali che compongono la default mode network che ci dimostra quanto il nostro cervello sia orientato alla relazione e al pensiero riguardante “gli altri”, anche quando non è impegnato in nessun compito cognitivo. 

Nell’era dei social network, la condivisione passa anche attraverso la sistematica pubblicazione di post e di commenti ai messaggi altrui. Quello che ci spinge a farlo è l’enorme gratificazione che deriva da un “like”: un feedback molto semplice che attiva i nostri meccanismi cerebrali del piacere e ci induce a ricercare nuovamente approvazione, in un meccanismo che può diventare potenzialmente pericoloso quando si sostituisce alla vita reale e alle relazioni reali o quando diventa l’unico metodo di compensazione a frustrazioni relazionali della vita concreta. 

Basta aprire qualsiasi social per notare un’abitudine piuttosto comune, ovvero l’utilizzo di citazioni di altri (poeti, autori letterari, personaggi famosi nel mondo imprenditoriale etc..) come didascalia di proprie foto o come “imprimatur” rispetto a eventi che si vogliono pubblicizzare. Il significato può non essere sempre pertinente, ma comunque il risultato è quasi sempre seducente per ottenere il consenso di chi legge. Così capita di trovare una citazione di Pasolini o di Pablo Neruda in calce, ad esempio, a una foto in costume da bagno, creando un po’ di confusione tra “sacro” e profano. In questi casi, quando la citazione è azzeccata e ben appaiata al contenuto del post, chi scrive sta comunicando di conoscere la fonte e di possedere una certa cultura. Tuttavia, così facendo, non si tiene conto di un particolare: utilizzare il pensiero di altri (seppure di chiara fama e in linea con il concetto che si vuole esprimere), mette in secondo piano o addirittura annulla il proprio pensiero, perché – appunto – l’attenzione viene dislocata sul pensiero prodotto da qualcuno che non è l’autore del post. L’effetto finale è arricchire l’immagine dell’autore citato, ma non di colui che ha scelto la citazione. 

Stessa situazione si verifica quando condividiamo (o “diffondiamo”) un post senza corredarlo di un commento che dica qualcosa di noi. Chi si trova a ricoprire una posizione di prestigio o comunque di responsabilità dovrebbe prestare attenzione alla propria autorevolezza anche sui social, prendendosi cura di come esporre il proprio pensiero e le proprie idee, senza utilizzare esclusivamente quelle di altri. Per farlo occorre conoscere bene i meccanismi dei social e della scrittura via social, differenti da quelli di altri contesti, che vanno dalla tempistica di pubblicazione, alle immagini da scegliere e ai temi di cui parlare. Nulla deve essere lasciato al caso, perché ad esempio un amministratore delegato che parla attraverso le pagine social della sua azienda o del suo brand, sta parlando di sé e contemporaneamente della sua organizzazione. 

Un tipo di comunicazione di questo tipo, se ben curata, rafforza l’autorevolezza di chi scrive fino a farlo diventare un opinion leader nel suo settore. Pensate ad esempio ad un CEO che riposta contenuti di altri sulla leadership: in questo caso sta comunicando qualcosa su cui è sicuramente d’accordo, ma non dice nulla di sé, come “produttore di pensiero”, approvando passivamente un’idea altrui.  Ma un manager in un ruolo di prestigio non può limitarsi a questo, deve essere coerente con la sua identità anche sul web e sui social, in modo da permettere a chi gli si accosta di capirne chiaramente i valori, gli ideali e la qualità dell’agire. 

Esporsi in prima persona ovviamente ha un rischio: quello di essere ignorati (“sono deluso perché il mio post ha preso pochi like”) o anche pubblicamente disapprovati, ma la disapprovazione è un’ulteriore occasione per dimostrare la capacità di mettersi in discussione e di sostenere il proprio pensiero. In entrambi i casi, la reazione comunicherà al pubblico la propria capacità di gestire il conflitto e la solidità delle idee manifestate, se sostenute con argomentazioni ben declinate, e quindi l’esposizione diventerà un’ulteriore possibilità per affermare la propria identità con autorevolezza e consapevolezza. Un concetto che vale per tutti noi, nella vita professionale e personale. 

Concludendo: sapere utilizzare le piattaforme social è una grande risorsa per un professionista, che può trasmettere il valore della propria identità e quello della propria organizzazione attraverso una comunicazione consapevole, senza bisogno di riciclare contenuti altrui o citazioni e senza cercare facili riscontri positivi allineandosi a contenuti applauditi dalla rete, seppur banali. Allinearsi alle dinamiche di un algoritmo può essere una tentazione forte ma molto rischiosa per la propria autorevolezza e per i propri obiettivi professionali. Si rischia di diventare una figura più decorativa che autorevole. Fare la differenza, qui come altrove, vuol dire esprimere un pensiero personale complesso, contestualizzato e argomentato in modo appropriato. 

E la valutazione della qualità del contenuto non dipende dal numero dei “like” che riceve, fortemente dipendenti dagli “umori” di un algoritmo, ma dal contributo che tale pensiero offre al progresso sociale ed economico di una comunità. Probabilmente non è un caso che piattaforme come Facebook e Instagram diano la possibilità agli utenti di nascondere i like. Quindi, a proposito di citazioni: “non dirmi cosa sai, ma dimmi chi sei”, come disse qualcuno.

Elena Pattini bio

Bio Elena Pattini, PhD

Elena Pattini, PhD, Psicologa e psicoterapeuta esperta in empatia e relazione. Dottore di Ricerca in Psicologia, Dirigente Psicologo-Psicoterapeuta presso il Centro per l’Adolescenza e la Giovane Età dell’Ausl di Parma. VP Comitato Scientifico Kindacom Scrittura Strategica. Per anni Assegnista di Ricerca presso il dipartimento di Neuroscienze dell’Università di Parma in stretta collaborazione con il Prof. Giacomo Rizzolatti. Psicologa dello Stress Management Lab di Parma dove si occupa di divulgazione neuroscientifica, analisi del comportamento non verbale e assessment psicologico. Professore a contratto presso la facoltà di Scienze Sociali Università di Parma. Membro del Comitato Tecnico Scientifico della Federazione Italiana Nuoto.