Contributor: Giacomo Rizzolatti MD,
Professor of Human Physiology
Socio Nazionale Accademia dei Lincei
Foreign Member of the Royal Society
Foreign Member of the National Academy of Sciences, USA

Si pone spesso l’accento sui comportamenti che dovrebbe avere un leader e su come dovrebbe essere una leadership empatica, attenta alla valorizzazione della relazione e della persona.
Temi sollevati dai “disastri” di leader poco comunicativi, esigenti e non attenti a costruire rapporti di collaborazione autentici, i cui risultati sono tangibili in termini di malessere aziendale, scarsa produttività e alto tasso di turnover del personale.

Perché alcuni tipi di approcci funzionano e altri no?

Chiunque di noi, volente o nolente, diventa un modello per le persone con cui si rapporta, siano esse amici, famigliari o colleghi di lavoro. Così, chi occupa un ruolo di responsabilità, a tutti i livelli dell’organizzazione, è un modello di riferimento all’interno dell’azienda che dirige. Pertanto, un CEO che agisce comportamenti empatici, verbali o non verbali, metterà i collaboratori nelle condizioni di generare azioni del tutto simili, promuovendo un circolo virtuoso basato su vicinanza e fiducia, con importanti e positive ripercussioni sul clima aziendale e sulla produttività.

Rizzolatti modellare comportamenti

Se un CEO fa propri certi comportamenti, come l’utilizzo dell’empatia affettiva, cognitiva o motoria nella comunicazione con i colleghi, può massimizzare la sintonizzazione interpersonale, favorendo l’espressione di tendenze similari nel team di lavoro. Un processo tanto più efficace, quanto più il leader è consapevole del profondo impatto che le proprie parole e le proprie azioni hanno sugli altri ed è quindi in grado di modularle al meglio.

Il c.d. “CEO activism” è un fenomeno abbastanza recente, ma già molto rilevante, che vede molte figure manageriali di spicco spendersi su temi strategici e condividere opinioni sulle reti digitali (es. i social network, mettendosi quindi in relazione con il pubblico esterno all’organizzazione e, di fatto, rendendo sempre più sottile il confine fra ciò che è pubblico e ciò che è privato (nel senso di interno all’azienda o che addirittura appartiene alla sfera personale).

Prendere posizione o esporsi in modo chiaro sulla rete e all’interno dei propri profili professionali o aziendali rappresenta in sé uno strumento di comunicazione e modellamento importante attraverso il quale il leader, rendendo fruibile al pubblico la propria identità e i propri valori di riferimento, crea un contesto di fiducia ed empatia all’interno del quale trovano visibilità e consenso i temi per lui importanti.

Un Presidente, un CEO, così come in generale il Top Management, si devono quindi spendere in prima persona se vogliono generare e modellare cambiamenti di qualche misura nel pubblico esterno, così come nel contesto organizzativo interno. La comunicazione verbale e non verbale, in presenza o digitale, rappresenta l’elemento chiave di questo processo.

Tutto ciò si basa su un importantissimo processo di apprendimento di cui disponiamo e che sfrutta le proprietà dei neuroni specchio: l’imitazione.

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Sono state ad esempio studiate le risposte corticali di persone che semplicemente osservavano azioni più o meno note svolte da altri, ad esempio movimenti di danza classica o di capoeira (Calvo-Merino et al.; 2005) o, in un contesto di apprendimento, provavano a riprodurre qualche azione nuova, ad esempio riprodurre accordi di chitarra (Buccino et al., 2004). I risultati hanno mostrato che il sistema specchio attraverso la simulazione interna dell’azione osservata è responsabile della comprensione delle azioni altrui. Ma non solo, è stata anche dimostrata la capacità del cervello umano di modificare un atto o un’azione motoria già presente nel repertorio dell’osservatore così che la nuova azione potesse assomigliare di più a quella di colui che ha eseguito l’azione (Rizzolatti, Fogassi, Gallese; 2001).

In altri termini, il meccanismo specchio risulta coinvolto non solo nell’apprendimento, ma anche nel perfezionamento e nell’adattamento del comportamento. Analogamente un contesto organizzativo che rileva processi relazionali interni in qualche misura disfunzionali può beneficiare del principio dell’imitazione per allenare nuovi repertori comportamentali più vantaggiosi che, prima di tutto, hanno bisogno di essere incarnati dai livelli più alti in un processo top-down.

L’analisi delle diverse situazioni e dei diversi elementi comunicativi ci rimanda a un fondamentale dato di fatto: qualsiasi sia la relazione o il contesto in cui ci troviamo, se curiamo la comunicazione e ci premuriamo di approfondirla, perfezionarla e renderla inclusiva con l’altra persona, saremo inevitabilmente proficui e ci sentiremo bene. Ricordiamoci che, per farlo, non possediamo solo le parole, ma abbiamo un vasto repertorio di strumenti, spesso molto più efficaci delle parole stesse. Usiamoli bene.

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Giacomo Rizzolatti si è laureato in Medicina e specializzato in Neurologia a Padova. É diventato Professore in Fisiologia Umana nel 1975. Professore Emerito, responsabile Unità di Neuroscienze del CNR di Parma. Membro dell’Accademia dei Lincei, Academia Europaea, Académie Francaise des Sciences, American Academy of Arts and Sciences e National Academy of Science, Royal Society e Istituto Lombardo.

Ha ricevuto il premio “Feltrinelli” per la Medicina il premio “Grawemyer 2007” per la Psicologia, il Premio Principe delle Asturie, e il Brain Prize for Neuroscience. Ha ricevuto Lauree ad Honorem dall’Università “Claude Bernard” di Lione, San Pietroburgo, Lovanio, Sassari, San Martin di Buenos Aires e Montevideo.