Questo articolo è stato pubblicato da Corriere Salute – Corriere della Sera

Contributors:
Elena Pattini Vice-Presidente del comitato scientifico Kindacom.

Siamo nati per essere in relazione gli uni con gli altri. Questi lunghi mesi ci hanno costretto a modificare la nostra natura in nome della nostra sicurezza e di una reciproca tutela e ci hanno riportato alla primaria condizione dell’uomo: la fragilità e non più la potenza. Ci siamo mossi tra il timore del contatto e la sua astinenza, uniti attorno alla paura nei primi mesi confusi della pandemia, paura che per alcuni si è trasformata in rabbia nelle settimane appena trascorse di chiusura. L’emozione condivisa, anche quella negativa, è sempre lo strumento per vincere la solitudine e il senso di impotenza.

Occorre ripartire dalle fondamenta di questa necessaria connessione tra gli individui in modo da risanare un tessuto sociale piuttosto scucito. Occorre ripartire dall’empatia, intesa come sentire comune e come riconoscimento della somiglianza emozionale tra le persone. Gli strumenti per diventare più empatici e autentici risiedono essenzialmente nell’area dell’attenzione, del linguaggio, della gestualità e della consapevolezza. Per essere empatici occorre rivolgere il nostro sguardo realmente all’altro, parlare con qualcuno non significa davvero «vederlo», dobbiamo fermarci e ripulire il campo dall’ eccesso di informazioni e soprattutto dalla fretta, azzerare il rumore e prendersi il tempo dell’ascolto profondo, in modo da mettere al centro non il sintomo, la malattia o il problema, ma la persona.

Le parole che dobbiamo scegliere sono quelle che esprimono comprensione dello stato mentale e affettivo dell’altro, un «mi dispiace» può essere in alcuni contesti potentissimo, ma solo se accompagnato dalla nostra emozione, altrimenti rischia di essere sterile. Inoltre, dobbiamo mostrare coerenza tra la nostra comunicazione non verbale, come il tono di voce, l’espressione del viso o i gesti, e quella verbale; quando si osserva uno scarto tra le due si tenderà sempre a fare affidamento su quella non verbale, che è più difficile da controllare e che per questo mente meno, l’incoerenza tra questi canali genera ambiguità e poca autenticità, nemiche dell’empatia. Infine, occorre essere consapevoli di come funzioniamo nei rapporti con gli altri, di quali sono le corde che toccate ci predispongono al conflitto, all’attivazione del pregiudizio, o più semplicemente rischiano di farci riversare sull’altro sentimenti ed emozioni legati alla nostra storia personale.

Dobbiamo sapere riconoscere quali bisogni vogliamo soddisfare nelle nostre relazioni, ad esempio se abbiamo un alto bisogno di riconoscimento saremo più sensibili a contesti relazionali in cui ottenere apprezzamento e validazione. Svelare dentro di noi questi meccanismi può aiutarci a evitare fraintendimenti, colpevolizzazioni, rabbia e bassa autostima, in modo da porci nelle condizioni migliori per creare rapporti interpersonali ricchi ed autentici. Interessante sapere che nel 2020, nei Google Trend a livello mondiale, tra le parole più ricercate con una frequenza fuori dalla norma siano comparse «felicità», «empatia» e «speranza», segno inconfutabile di un bisogno fondamentale, legato in parte al mondo interiore dell’essere umano e in parte alla connessione profonda tra le persone. Per anni abbiamo messo l’uomo e la sua individualità al centro di tutto, è ora di fare una nuova rivoluzione copernicana e mettere al centro la relazione.