LE CONVERSAZIONI DI KINDACOM – #1

MARGHERITA REMOTTI, Attrice


A cura di
Alessandra Irene Rancati

Questa conversazione con Margherita Remotti prende spunto proprio da qui e da Fata Morgana, il racconto teatrale, da lei stessa scritto e interpretato, della vita di Christa Päffgen, in arte Nico. Margherita, attrice professionista, tantissimo teatro e collaborazioni con il cinema e la televisione è stata allieva di Micheal Margotta, a sua volta allievo diretto di Lee Strasberg entrambi nomi di eccellenza del panorama teatrale internazionale.

Grazie a Margherita abbiamo toccato aspetti profondi della recitazione che ritornano spesso anche nel nostro lavoro di comunicazione strategica, come i timori, le modalità e i significati per un manager di esporsi pubblicamente, di coinvolgere il team, di costruire relazioni di fiducia con gli stakeholder. Abbiamo approfondito aspetti quasi intimi della professione dell’attore e del senso umano che vi è dietro, come il concetto di mettersi a servizio, di donare qualcosa al pubblico, di prepararsi a quello che si deve affrontare. Il teatro è un banco di prova che può aiutare a trovare molte risposte e a superare paure e limiti. Competenze ed esperienze utili in ogni professione. 

AIR: Margherita, nel mio lavoro di speechwriter affiora spesso con i clienti, anche con i più senior, il timore del palcoscenico. Tu come vivi il palco e la relazione con il pubblico? 

MR: Vi rivelo un segreto: stare sul palco spaventa anche gli attori! Per usare un’immagine un po’ forte, è come lanciarsi con il paracadute: per quanto ti prepari con cura non sai mai se tutto andrà bene. L’attimo prima di andare in scena è esattamente come il momento in cui ci si lancia dall’aereo, un po’ è paura e un po’ è eccitazione. Ma poi vai e voli. Tutti abbiamo paura dell’ignoto, è normale. Dopo averlo affrontato, però, ti senti bene, ti senti vivo. E’ su questo che bisogna concentrare l’attenzione. Quando si pensa al teatro si crede siano gli attori i protagonisti e il pubblico l’ascoltatore passivo di una storia. Invece, è proprio il contrario: il pubblico è il protagonista. L’attore è al servizio della storia e la storia è al servizio del pubblico.

Il concetto di servizio è alla base del nostro lavoro, perché il più grande scopo di un attore, o più in generale di un artista, è servire, ovvero emozionare, toccare l’anima attraverso la sua forma di arte, sia essa la recitazione, la musica, la pittura, la scrittura. Se “tocco” il pubblico ho fatto bene il mio lavoro e, per farlo, io stessa devo essere uno strumento, devo cioè farmi attraversare dall’emozione, devo accettare di non essere protagonista ma di essere a disposizione. 

AIR: Mettersi a disposizione, è un po’ come abbattere la barriera con l’altro, è un impegno. Questa posizione richiama un’altra paura molto forte per chi deve parlare in pubblico, cioè il timore di essere giudicati. Per alcuni è davvero difficile superarlo. Tu come lo affronti?   

MR: Grazie all’autenticità. Quando sei autentico, a quel punto il giudizio non conta. Quando sono in scena, la mia attenzione deve essere sempre sull’altro (il pubblico e/o gli attori con me) e mai su di me o sulle emozioni. Solo a quel punto le emozioni possono fluire creando una connessione fra me e il pubblico. Però, di fatto, non si supera mai totalmente la paura del giudizio, perché per quanto siamo bravi, c’è sempre una parte della nostra mente, anche piccola, che cercherà di captare dei segnali di critica o di consenso. L’importante è cercare, attraverso lo studio e la preparazione, di spostare la propria visione verso il significato più profondo della recitazione, capire cosa significa concentrarsi sull’altro. A me, per esempio, piace ricordare che la prestazione artistica è una forma di dono. Non a caso, in inglese si dice “to give a performance” allo stesso modo in cui si dice “to give a present”. Avendo questo concetto ben chiaro, studio, provo, mi preparo: l’unico modo che conosco per superare la paura del giudizio è infatti lavorare sulle mie competenze e far prevalere la voglia di vivere quell’esperienza unica data da ogni singola rappresentazione. 

AIR: A proposito di esperienza, i tuoi ruoli sono sempre ad altissima intensità emozionale. Come riesci a rappresentare emozioni così forti senza farti travolgere?

La vita è intensa e dobbiamo trasmettere ciò che siamo in maniera onesta e sincera. Non è possibile diventare in toto il personaggio che interpreti, è impossibile essere qualcun altro: il compito dell’attore è dare al pubblico l’illusione di essere quel personaggio, vivendo le circostanze immaginarie dove far scorrere le emozioni. Posso quindi dire che recitare è anche un atto liberatorio, perché nella vita di tutti i giorni indossiamo una maschera e, per assurdo, è proprio un personaggio che può darci l’occasione di ritrovare l’autenticità. Recitare è come un gioco, però le emozioni che rappresento sono mie, sono reali. Se rido o se piango, non sto fingendo, sto davvero vivendo una sensazione che mi fa ridere o piangere. Citando il mio maestro Michael Margotta, allievo diretto di Lee Strasberg: “noi siamo lo strumento, il suonatore e la musica”. 

Voglio che sia chiaro che io non sono le mie emozioni, io le vivo, loro mi attraversano, sono l’essere consapevole che le vive. Trovo divertente e rivoluzionario togliere la maschera e viverle  intensamente. Penso siano una minoranza le persone abituate a mostrare le proprie emozioni. La maggior parte le nasconde o addirittura le rinnega.  

AIR: Nel nostro lavoro di scrittura, non è ammesso alcun margine di errore, cosa che ogni tanto può farti “tremare la penna”. Tu lavori prevalentemente in teatro, un contesto dove non c’è spazio per errori e replay. Come convivi questo aspetto e cosa fai per superarlo?

MR: Personalmente, trovo affascinanti sia il cinema sia il teatro, ma in effetti, in teatro non c’è il regista che ti dice “rifacciamo”. Il cinema è molto guidato dal regista, che decide se la scena va bene oppure no. Il teatro invece è guidato dall’attore, non c’è lo stop. Quindi devi saper gestire imprevisti e situazioni, devi saper calare ciò che accade nella rappresentazione, facendolo tuo. La realtà, come nella vita, resta sempre la tua migliore amica. L’improvvisazione è una parte di questo mestiere, non si può pensare di pianificare tutto, anzi a volte l’imprevisto è una grande opportunità di fare ancora meglio. Devi studiare e approfondire bene. Come fate voi quando scrivete. La preparazione di uno spettacolo risponde alla classica metafora dell’iceberg: il 90% del lavoro è sommerso, mentre il pubblico vede solo il 10%. Le prove, le scenografie, i costumi, il testo, la scelta del regista, le musiche, le immagini non si vedono. E’ un’enorme macchina, che richiede un continuo fine tuning, come uno scrittore che rilegge e corregge le bozze. 

AIR: E di Nico cosa ci dici?

MR: Lo spettacolo su Nico è nato a Parigi proprio da un’improvvisazione, intorno alla quale è poi stato scritto il testo. L’idea è stata di ripercorrere la sua vita, dando risalto ai momenti salienti. La stessa Nico, nella prefazione del suo libro dice esplicitamente che la sua vita è stata banale e, quindi, se qualcuno avesse voluto rappresentarla doveva farlo attraverso i momenti più significativi. L’essenza raccontata in pochi oggetti, in musica e in immagini.

AIR: Chiudo con una domanda assolutamente non originale, ma sono sicura che la tua risposta lo sarà. Perché hai scelto di fare l’attrice?

MR: Molto semplice: penso di essere stata scelta, perché Dio ci dà dei doni e spetta poi a noi ascoltarci e decidere, eventualmente, di farli fruttare. Però non dobbiamo mai farlo per noi stessi, dobbiamo usarli soprattutto per gli altri. Don Fabio Rosini dice “se Dio ti ha fatto così vuol dire che gli servi così” e credo che riassuma bene lo spirito con cui vivo il mio lavoro, nella cui utilità credo profondamente. 

AIR: Grazie Margherita per averci donato qualcosa di te in questa conversazione. Mi porto a casa che, alla fine, tutti noi siamo “solo” un ponte verso il mondo esterno, abitato da coloro che ci circondano nella vita personale e professionale. Non siamo noi i protagonisti, ma devono esserlo i valori che ogni giorno comunichiamo e che formano l’identità unica di ciascuno. Da me e da tutto il team di Kindacom Scrittura Strategica, un sincero augurio per i tuoi progetti artistici. Al prossimo spettacolo! 

 

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Attrice Margherita Remotti

BIO MARGHERITA REMOTTI


Attrice, regista e autrice. Diplomata presso il Centro Teatro Attivo di Milano ha perfezionato le sue competenze presso l’Actor’s Center di Roma diretto da Michael Margotta (membro a vita dell’Actors Studio), dove ha studiato anche con Doris Hicks. Ha approfondito la tecnica Meisner con Tom Radcliffe ed è co-fondatrice della community Actors East a Londra. Dal 2012 è membro dell’Actor’s Center. È stata protagonista in spettacoli teatrali e film indipendenti. Nel 2017 è stata coprotagonista del film “Mothers” con Christopher Lambert e Remo Girone, diretto da Liana Marabini. Nello stesso anno, per il ruolo di protagonista femminile nel film “Shanda’s River”, regia di Marco Rosson, riceve a Los Angeles l’Actors Award come Miglior Attrice in un Thriller e un Award of Merit come Miglior Attrice Protagonista alla Accolade Competition. Dal 2012 insegna recitazione bilingue, in italiano e inglese.